
“CRISTOFOLLIA”
Se Cristo potesse scendere dalla croce, dove è stato immortalato in aeternum con
un’arcaica fotofinish servita a catturare l’attimo in cui rende le sacre
spoglie, realizzerebbe in fretta come quella croce è il modo più trash e
commerciale di istituzionalizzare il dolore a beneficio del dominio sul gregge
devoto. Abituarsi alla sofferenza rende più piacevole l’empireo (un paradiso che
ormai potrebbe già essere tutto cementificato, lottizzato e dato in pasto ai più
furbetti). Conserviamo dunque, il simbolo cristiano nelle scuole e nei vari
istituti, affinché sia più facile prendere confidenza sin da piccoli col nostro
futuro. Per Nietzsche, Dio è il più grosso errore dell’uomo, per Rezza diventa
la sua più grande invenzione. Per Nietzsche, Dio è un crimine contro la vita, e
deve morire perché l’uomo viva. Rezza nella sua performance si accontenta di
meno. Dando l’idea di essere balzato giù da una croce invisibile, fonde due
entità in una: il cattivo ladrone e il buon pastore, lo sguardo maligno e quello
ingenuo, la meschinità e la generosità. Il Rezza-Doppio ci mostra, svelandola in
tratti essenziali, una realtà semplice e mostruosa, la stessa realtà con la
quale interagiamo tutti i giorni. Ci delizia servendoci su un piatto di sacre
tavole un mondo pasoliniano, iconoclasta, farsesco e comicamente cattivo. Un
mondo pieno di mostri, una dimensione che l’occhio del santo, dell’attore puro,
trasfigura, sublimandola in poesia urbana. Allora i loschi figuri, i personaggi
evasi dall’inferno di Bosch, diventano bonaccioni e si fanno amare per la loro
tenera spontaneità. Fino a quando il cattivo ladrone prende il sopravvento e
cerca una complicità inquietante con il pubblico. Vorrebbe renderlo partecipe di
alcune azioni teatralmente malvagie portando alla luce il kapò nascosto nel
potenziale umano.

Tutto questo si sposta
nello spazio scenico tracciando un circolo incessante e vizioso, è come se una
forza centrifuga premesse sugli eventi e l’energia Rezziana vibrasse all’interno
di un teatro-frullatore, un contenitore dove i personaggi s’inseguono senza mai
raggiungersi: la solitudine in gara con se stessa. A questa sfida di velocità
prendono parte: dottori svogliati, suore sadiche, militari e guerrafondai, dita
falliche di politici impotenti e proprio per questo politici, “Salò o le 120
giornate di Sodoma”, Cristi multati perché in due sulla croce e magari senza
casco, nane ermafrodite, ospedali e/o case ambulanti, i finti-vivi. “Siete morti
e non ve ne accorgete!” Esclama Rezza al pubblico, e la corsa continua anche se
i finti-cadaveri sono immobilizzati per terra. Si corre per contrastare
l’incedere del tempo? Per superare la velocità della luce e quindi annientare la
morte stessa? Ci si fa l’idea che Antonio Rezza vorrebbe amarla la morte,
perfino possederla sessualmente, per esorcizzarla. E’ un viaggiatore
instancabile, replica dopo replica, è un grande artista, un comico magistrale e
surreale, un geniale osservatore dei vizi umani.

“E non hanno saputo amare il loro dio, se non crocifiggendo l’uomo!
Si proposero di vivere come cadaveri, di panni neri vestirono il loro cadavere;
anche i loro discorsi sanno per me l’aroma cattivo dell’obitorio.” *
Teatro VASCELLO
FOTOFINISH (mai) scritto da Antonio Rezza.
Regia di Flavia Mastrella, Antonio Rezza.
Con: Antonio Rezza e con Armando Novara.
Allestimento scenico: Flavia Mastrella.

di Rossella Monaco
*citazione da “Così parlò
Zarathustra”