
Ho il piacere di
conoscere Nino Velotti, cantautore, scrittore, poeta, artista poliedrico, da
molti anni, per questo mi rivolgerò a lui dandogli del tu.
Ascoltando la tua musica e le parole delle
tue canzoni più che ad un artista da applaudire ho pensato ad un fine
osservatore che guarda dentro l’animo di ognuno e, fotografando, scopre quello
che rinviene. Come fai?
Ti ringrazio molto della domanda. Non
ho mai messo me stesso al centro del mio universo artistico. Ciò che produco
musicalmente e poeticamente nasce sempre dall’attenzione verso l’esterno, verso
cose e persone che magari mi somigliano. Anche per questo faccio dischi insieme
ad altri artisti, sono gli Hueco insieme a Vittorio Esposto, il nostro è un
sodalizio che dura da più di venti anni. Certo, prima o poi, ultimerò il mio
disco personale, Incanti e disincanti... Ultimamente mi hanno chiesto a chi
fosse dedicata "Non invecchiare mai", ho risposto ad una persona che sta
invecchiando, magari un genitore, un amico, magari pure me stesso, o un perfetto
estraneo. Cerco sempre il dialogo, di arricchire e arricchirmi dei mondi degli
altri. Tutti siamo sottoposti al tempo che passa e che, insieme a un pò di
saggezza, lascia sempre “solchi infertili”. Certo, ci sono io con la mia
emotività a fare da filtro, ma non mi appagherei mai del mio ego e se sono un pò
Narciso, lo sono nella misura in cui ci sono gli altri a farmi da specchio. Sarà
pure l’unico fatto tangibile, l’essenza del reale, la cosa in sé, ma trovo che
la solitudine dell’individuo sia un concetto spaventoso, da attacco di panico.
Mettiamola così: ognuno di noi è solo, unico e irripetibile, ma per fortuna non
è estraneo, ha molte cose in comune agli altri e lo può comunicare. La cosa che
più mi colpisce nel videoclip di "Non invecchiare mai" – invito i lettori a
darci uno sguardo su youtube - è il suo gioco di doppi e multipli come se tutte
le entità presenti condividessero un'unica legge e destino, facessero parte di
un unico progetto mistico. Sono sempre stato affascinato dalla religiosità tout
court, buddhista, o cristiana che sia, Tutto è mistero è anche il titolo di una
delle "Canzoni dall’armadio verde", il nostro ultimo album. Alla fine al di là
del tempo e dell’età, finiamo tutti per somigliarci, lo spero... Penso che la
poesia, la musica e l’arte in generale nasca principalmente dalla sublimazione
di energie erotiche, nel senso che senza amore – e anche un pò di sofferenza -
verso il mondo non c’è arte.
Canzoni dall’armadio verde
è il titolo dell’ultimo album degli Hueco uscito da pochissimo con la storica
etichetta indipendente Compagnia Nuove Indye. Siccome la scelta delle parole e
del colore non credo sia casuale, sono curioso di sapere quale sia il
significato dell'armadio verde.
L’input l’ha dato Vittorio che mi
chiese di pensare ad un titolo che contenesse la parola armadio. Lui è un
collezionista di abiti e accessori vari per cui in casa si ritrova vari armadi,
nonché una camera adibita a deposito delle scarpe. A proposito di armadi
nell’universo della musica pop c’era "Close to me", il videoclip claustrofobico
degli amatissimi The Cure, c’era la scarna copertina de "L’apparenza" di Lucio
Battisti, e, sempre in tema di arredamento musicale, "Songs from the Big Chair"
dei Tears for Fears, duo anglosassone di pop- new-wave che ad entrambi non
dispiaceva affatto... Devi sapere che un armadio verde esiste per davvero e, a
partire dalla mia pubertà, mi è sempre accanto. Grande e capiente accoglie la
mia collezione di camicie e di cravatte a fiori – sono un amante del vintage e
dei mercatini a cui ho dedicato anche un libro, La T-shirt-bianca e altri
racconti uscito qualche anno fa per l’attuale Mondatori Education -,
l’orsacchiotto della mia infanzia, un Pinocchio mezzo rotto, i miei gatti che
tentano di accedervi, il profumo di lavanda e tante altre cose. Da tutto ciò
ecco il titolo del nostro secondo album Canzoni dall’armadio verde, armadio come
contenitore di archetipi che fa pure un pò Cronache di Narnia, verde di natura e
di speranza... Sono molto legato alla Natura, anche come concetto
poetico-filosofico del mio amatissimo Leopardi – mi sono laureato in Filosofia
proprio con una tesi sulla sua infanzia prodigiosa - e spero che non soccomba
all’Uomo, vero “attentato a se stessa”, per dirla con un altro pessimista,
Cioran. Nelle zone dove viviamo si sente molto il cosiddetto problema ecologico.
A parte tutta la “munnezza” per strada, pensa che io e Vittorio abbiamo
trascorso la pasquetta nel parco nazionale del Vesuvio, patrimonio dell’Unesco,
nel casolare di un amico. Nulla contro Napoli e la mia terra, ma proprio qui
dovevano farci una bella discarica? Un odore terribile azzerava quello degli
alberi rigogliosi e dei fiori in primavera. Prima che lo “sterminator Vesevo” si
risvegli...
E’ possibile che l’aver studiato filosofia
all’università abbia influenzato la tua produzione artistica, o tutto deriva
dalla tua sensibilità interiore?
L’eterno dilemma tra innatismo e
empirismo... Ho manifestato la mia attitudine per la scrittura e le arti in
generali sin da bambino. Mi sono scoperto artista e “poeta”, nel senso
etimologico del termine di “colui che fa, che è creativo”, molto presto. Ho
scritto i miei primi versi dedicati a mia madre a sette anni. Ma già all’epoca
mi piaceva suonare il piano e mi dilettavo a inventare melodie. Mio nonno
materno, maestro di musica e compositore, mi ha dato una mano in questo senso,
oltre il corredo genetico, il nome di battesimo, Carmine e pure i nei sulla
pelle come costellazioni in negativo. Ho pensato spesso di adottare il suo
cognome, De Luca. Amava Verdi e Puccini ma anche Satie e la musica bandistica.
Vedermi nel videoclip di "Non invecchiare mai", girato a Pompei nella casa di
riposo “C. Borrelli” dall’eclettico amico, artista autentico Dagon Lorai, seduto
al piano con il quadro della Madonna di Pompei alle spalle - mio nonno era molto
devoto alla Vergine pompeiana - mi ha fatto un certo effetto... Da piccolo mi
piaceva anche disegnare e dipingere. Attualmente mi diverto a fare simpatici
fotomontaggi con Photoshop: ho ibridato Vittorio con Domenico Modugno e Rita
Pavone, mentre personalmente mi sono fuso con Arthur Rimbaud e mi sono anche
candidato nel partito Bellezza e Libertà... Quindi sono cresciuto in un ambiente
abbastanza fertile, anche se, lo sottolineo, in fondo mi sono fatto da solo. Ho
frequentato con ottimi risultati il liceo classico e il corso di laurea in
Filosofia, ma tutto sommato penso di non aver avuto maestri e anch’io non mi
reputo maestro di nessuno. Oggi invece si va a scuola di tutto, sarà sempre e
unicamente una questione di soldi... Credo comunque nell’educazione finalizzata
all’autorealizzazione dell’individuo e ho una buona vocazione alla maieutica,
per cui ho dato l’input a vari amici che si sono scoperti artisti e poeti,
qualche volta creando mostri che mi si sono pure rivoltati contro...

Qual è il momento più
produttivo per le tue composizioni?
Arriva senza preavviso. Capita di
svegliarmi con qualche spunto melodico in testa. Mi siedo al piano che mio nonno
mi ha lasciato in eredità e lo sviluppo. Oppure può capitare in macchina mentre
guido, ho il registratore del cellulare sempre a portata di mano.
Scrivi prima la musica, o i testi?
Scrivo quasi sempre prima la
musica, che come dicevo, nasce quasi sempre da un’intuizione melodica che sgorga
all’improvviso, che poi sviluppo e su cui, in un secondo momento, costruisco il
testo. A volte, nei momenti di grazia, musica e parole vengono insieme.
Altrimenti do la priorità alla musica. La poesia, tra l’altro, è anche un
mestiere – un mestiere che conosco, credo meglio delle tecniche della
composizione musicale dove lavoro più d’istinto - che concerne la parola e che
può stare al servizio della musica. La musica che non è relegata alla parola e
alla lingua e che forse sta al di sopra, più vicina al mondo delle idee
platoniche, probabile “riproduzione dell’essenza del mondo”, per dirla con
Schopenhauer, un altro pessimista famoso. Ovviamente, sia per la musica, che per
il testo, c’è bisogno di un minimo di estro, di uno stato d’animo predisposto
all’invenzione, altrimenti non si fa niente. Fino a qualche tempo fa avevo il
preconcetto che la poesia fosse altro, rispetto al testo di una canzone. Oggi
credo di scrivere qualche buona poesia in forma di canzone. Nel 2009 ho vinto
anche il premio letterario “Inedito" con due testi di canzoni e anche quest’anno
sono in finale. Mi reputo un buon melodista, un arrangiatore con una discreta
fantasia e soprattutto un artigiano molto paziente. Ho un rapporto fecondo con i
mezzi digitali e con l’elettronica in generale. Oltre alla musica barocca ho
sempre amato i Kraftwerk. Il primo album che ho acquistato è stato "The
Man-Machine".
Come mai la scelta di
aprire l’album con un brano strumentale “Felice...”?
Anche l’album precedente si
apriva con uno strumentale, la prolessi della linea melodica di una canzone
successiva su di una base e un’armonia diversa. E’ diventata una caratteristica
degli Hueco, gli strumentali del vecchio disco sono stati utilizzati anche dalla
Rai come colonna sonora a qualche servizio. Contribuiscono a fare un discorso
unitario legando tra di loro le tracce che compongono il disco, a farne un
concept-album. Sono molto legato alla musica degli anni 70, ai concept
progressivi di un tempo, anche in letteratura mi piacciono le opere con un filo
conduttore. Non saranno la Divina Commedia, o il Decamerone, ma anche in
"T-shirt bianca e altri racconti" c’è un’introduzione che funge da cornice e
pure le mie raccolte poetiche, - soprattutto "Giardino di Pèsah", con cui sono
stato selezionato al “Montale” qualche anno fa - sono organizzate come sistemi.

Come nasce il nome Hueco e
cosa significa?
Significa buco, assenza, vuoto,
mancanza di qualcosa in lingua spagnola. Lo scelse Vittorio più di vent’anni fa
quando l’ho conosciuto, leggendo una poesia di Jiménez. Io e Vittorio facciamo
musica insieme a partire dalla fine degli anni 80. Ci siamo conosciuti in un
locale a Napoli, entrambi della provincia, io di Nola, Vittorio di Pompei.
Subito è nata una grande intesa tra di noi, un sodalizio che dura da allora. Mi
coinvolse a scrivere pezzi e a suonare le tastiere nella band che aveva messo su
da qualche anno, gli Absolute Colours. Vittorio ha iniziato a calcare i palchi
prestissimo, poco più che adolescente. Insieme poi e anche contemporaneamente,
suonammo con i Treblinka, una formazione post-punk. Nella prima band Vittorio
era molto dandy estetizzante, nella seconda invece gotico e urlante. Ha sempre
amato il trasformismo, vedi il videoclip di Gioca il mondo.... Poi ci siamo
messi in proprio e all’epoca facemmo qualche concerto solo tastiera e voce, come
Hueco. Nella seconda metà degli anni 90 c’è stata l’opportunità di uscire con
una major, ma poi non ci siamo messi d’accordo.
Quali compositori sono stati maggiormente
fonte di ispirazione?
Premetto che non amo le
classificazioni e la suddivisione tra musica colta e popolare e che mi piace
soprattutto ciò che va al di là dei generi. Comunque, per quanto riguarda la
musica classica, adoro il linguaggio rinascimentale e barocco, Vivaldi
soprattutto, ma anche Bach, anche se lo trovo un pò mentale. Diciamo che
preferisco le cose non troppo astruse e per pochi eletti, mi piace molto Satie,
ma anche Puccini, sono sempre italiano. Per quanto riguarda la popular music e
il rock apprezzo molto la psichedelia, la forma propria di misticismo che la
società dei consumi ha espresso. Quindi i Pink Floyd, ma anche il rock
progressivo nazionale e internazionale. Poi apprezzo la semplicità poetica di
cantautori come Paoli, o Endrigo, la world-music di Peter Gabriel e di
Branduardi, la new-wave e il dark con cui sono cresciuto, il trip-hop degli anni
90, la melodia pop italiana degli anni 70 che trasmettevano le radio quand’ero
bambino, ma anche la black-music destinata alla danza e al corpo. Tra l’altro
nel nostro disco partecipa anche Paola Castiello con la sua voce soul grezza e
vibrante da cantante di colore.
Cosa accomuna questo ultimo album al
precedente "Living in a bathroom/Pensando all’amore"?
A parte gli strumentali, il fatto di
contenere musica di ricerca, d’intrattenimento e d’autore allo stesso tempo.
Solo che "Canzoni dall’armadio verde" penso che sia più maturo e più diretto.
Meno di nicchia e scuro, più ricco e suonato attualmente ci rappresenta di più.
Riascoltandolo anche il nostro vecchio album d’esordio è molto affascinante.
Che sensazioni ti procura pensare alle
tante persone che ascoltano il tuo cd?
Mi piace moltissimo, mi dà i
brividi sentire soprattutto gli altri che canticchiano qualche mia canzone.
Ritornando al discorso iniziale, non mi fa sentire solo e magari mi fa pensare
che qualcosa non è passato invano. Noi artisti e poeti qualsiasi cosa facciamo
in fondo pensiamo sempre di fissare, di eternare nel tempo non dico noi stessi
ma qualcosa di noi e degli altri che amiamo. In fondo non accettiamo, anzi ci
ribelliamo sempre all’impermanenza della vita e anche se invitiamo al carpe diem,
ci spaventa, ci angoscia soprattutto la mancanza di memoria. Avrà davvero
un’origine funeraria l’arte, mi chiedevo...

Tu sei anche un filosofo
tra le altre cose, come spiegheresti ad un bambino la parola felicità?
Direi solo che ho una certa
dimestichezza con la filosofia. E "mi puzzano" un pò le persone troppo
versatili. Certo, musica e poesia, poesia e pensiero, non è che poi siano tanto
distanti, ma alla fine mi ritrovo in una posizione ambigua: i miei amici poeti
mi considerano un musicista, mentre i musicisti un poeta. In un mondo di
specialismi, disoccupazione e grandi arrivismi si evita così un pò di
concorrenza... Venendo ai bambini e alla felicità, dato che oggi nel nostro
mondo civilizzato sono un pò tutti viziati – i miei nipotini stanno sempre a
chiedere soldi -, chiederei loro come si sentono mezz’ora dopo aver ricevuto
l’ultimo giocattolo...
Sono tutte tue creature, ma qual è la
canzone che senti più vicina?
Qualcuna è anche di Vittorio, testo e
musica, come "Ed è subito estate" che mi piace molto, ma anche "La rosa nel
pantano", nata da un fatto vero – feci anche una foto alla rosa nel pantano che
incontrai strada facendo vicino Napoli, insieme ad un amico, la mattina dopo che
c’era stato un temporale terribile, - diventato una sorta di osso di seppia
montaliano in musica. Poi c’è "Il danno e l’inganno" con il suo andamento white
funky, la sua armonia progressiva e il testo più ricercato, caustico e vicino
alla poesia che amo.