
Notte fonda, nera come la
pece, come i fondi di caffè avanzati da giorni. Mi sveglio di soprassalto,
strano per me, che ronfo sempre come un ghiro. Delle lucine brillano
dappertutto, sul pavimento, sotto il soffitto, nei vetri sporchi della finestra,
sembrano codette, di vari colori, si mescolano e giocano fra loro assumendo
forme strane. Chiudo gli occhi, ci sono ancora, allora sono nella mia testa,
l’atmosfera è tesa, sta succedendo qualcosa, ma non so ancora cosa. Arriva in
punta di piedi, la faccia è seria, apro gli occhi e svanisce dolcemente
vaporizzandosi nell’aria della stanza. Li chiudo ancora, voglio rivederla,
eccola.
-“Ti amo… ti amo… tu mi ai dato tanto…. Guarda la mia bocca è assetata di te,
mio amore….”.

Un vortice di immagini mi
prende la testa, mi fa vacillare, quasi cado, poi scende vorticando su se stesso
avvolgendo il torace, poi giù ancora alle viscere, a quel punto la voglia di lei
si fa insopportabile. Lei è dolce, ora sorride, mi porge la sua mano delicata.
-“Ti amo… ti amo…, tu sei tutto per me…. Mi piaci perché sei l’assurdo nell’imposibile….
Tu sei come un vortice di sole…. Ti amo… ti amo….”
Il desiderio sale sempre di più, è un bisogno atavico di lei, il suo profumo
m’inonda, la stanza s'impregna di lei. E' nel lavandino, nello specchio,
riflessa nei vetri, nei campi incolti fuori nella notte.
-“Immensamente, immensamente tu…”. Arriva un sottofondo di una canzone di
Umberto Tozzi, mentre lei mi si offre, con la mano tesa, sorridente, bellissima
come sempre, dolce e terribile allo stesso tempo, è la mia eroina, la mia
sniffata di cocaina, è l’assurdo della vita, la stupidità della morte, è tutto
quello che non avevo capito della vita.

E’ una marea che arriva,
travolge tutto, aspira tutto e se ne va. Ma in quel momento non ragiono, le
prendo la mano, la porto alla bocca per baciarla, lei ride, alza il mento, mi
offre la bocca stregandomi con i suoi occhi neri, intensi, misteriosi, quando le
labbra si toccano, quando le lingue si cercano. Ecco l’assurdità dell’oblìo,
scompare tutto svanendo nell’oceano della dolcezza infinita, sto soffocando
senza respirare, lei se ne accorge, vede le lacrime che sgorgano dagli occhi
come briciole di felicità, si stacca:
-"Roberto non fare cosi, io sono reale, non c’è da piangere, sono venuta da te,
perché avevi bisogno di me, amore mio".
Non so dire nulla, ho solo bisogno dei suoi baci, dell’aria di lei, per non
morire soffocato dalle lucette, dal suo dolce veleno, dalla marea di dolcezza.
Dolcemente si spoglia, non me ne rendo conto, me la ritrovo fra le braccia,
mentre mi bacia dolcemente dappertutto.

Ci ritroviamo nel mio
letto ancora caldo di me. Non sono più qui, non esisto più sul pianeta terra, è
il mio fantasma che ricambia i baci lungo tutto il suo corpo, partendo dai
piedi, fino ai capelli, ogni tratto devo fermarmi per baciarle la bocca, per
respirare, ormai respiro solo di lei, è lei la mia aria, la riserva di vita che
mi mantiene ancora vivo, quando se ne andrà... non so immaginarlo, come si
immagina la fine della vita? Il desiderio si fa impossibile, il confine del
piacere si sovrappone al dolore delle sue unghie sulla pelle, l’estasi è
incommensurabile, mentre il suo piede nudo mi schiaccia la bocca, mi toglie il
respiro, mentre mi masturba le labbra con le dita. E’ cosi dolce "morire"…
A duemila chilometri di distanza, nella cittadina di Beius, la ragazza stava
china sull’ampolla che eruttava un fumo bianco voluttuoso. I capelli
scompigliati, le mani indaffarate a prendere un pò di questo, un pò di quello,
un pizzico di polverina, un insieme di ingredienti da comporre nel contenitore
sopra alla fiammella del gas.

Gliel’aveva insegnata la
nonna, all’insaputa di sua madre, l’arte degli incantesimi d’amore. Per la
verità Adriana non ne aveva mai avuto bisogno di ricorrere a certi mezzi per
avere un uomo. Sì, ci aveva provato in quella tenera età, dove si prova tutto
per misurarsi, per affermarsi in qualche modo nel mondo. Le due cavie, due
ragazzotti della sua classe, erano mezzi impazziti d’amore per lei. Quando il
secondo sfiorò il suicidò buttandosi nel Hirsova, Adriana si spaventò e decise
di non usare più le vecchie magie di sua nonna, sua madre in fondo aveva ragione
a tenerla all’oscuro da certi poteri, che avevano ereditato nel DNA.
Era soddisfatta di sé, dopo tanti anni la magia funzionava ancora, l’uomo era
cotto di lei e poteva godersi il momento magico.

Socchiuse gli occhi, la
bocca ansimante mentre l’uomo si muoveva in lei, quando raggiunse l’orgasmo. I
capelli le scendevano lungo il viso appiccicandosi alla pelle sudata, una ciocca
fine entrava nell’angolo della bocca sfiorando l’umido di lei.
Domani è un altro giorno, doveva andare a trovare i suoi figli, poi pensare al
viaggio di ritorno in Italia, dove aveva, come si dice, “affari”.
La vacanza nella sua terra di Romania stava terminando.
(Per gentile concessione
di Roberto Ferrari)