
I fatti si erano svolti
nel modo seguente: la sera del 14 maggio 1930, Maria si recò in un giardino
pubblico di Dusseldorf, dove aveva appuntamento con un’amica che però non si
fece vedere. La ragazza allora si avviò verso un dormitorio per giovani in cui
passava le notti; strada facendo accettò con leggerezza la compagnia di uno
sconosciuto che lungo i viali deserti del parco si fece un po’ troppo audace.
Maria si ribellò e fu salvata dal provvidenziale intervento di un distinto
signore e per gratitudine si lasciò poi convincere ad accattare la
disinteressata ospitalità che egli le offrì per quella notte nella propria
abitazione, al 71 di Mattmannerstrasse. Una volta a casa del cosiddetto
“gentiluomo”, a Maria non piacque molto il suo comportamento e decise di non
restare; l’uomo allora insistette per accompagnarla e una volta soli, nei pressi
di un bosco, prima la violentò e poi cercò di ucciderla, dandosi infine alla
fuga.

La segnalazione dei
Bruggermann portò la polizia su una pista interessante; rintracciata la
scrivente, individuarono la casa e risalirono facilmente all’inquilino, un certo
Peter Kurten, quarantasette anni, coniugato, con una lunga fedina penale (aveva
scontato a più riprese circa vent’anni di carcere). Accortosi della polizia e di
Maria davanti alla sua casa, intuì di essere stato scoperto ed aspettò che il
pericolo fosse cessato per rientrare a casa; confessò quindi alla moglie di
essere l’assassino che tutti cercavano. La donna completamente sconvolta venne a
sapere che anche le loro bambine erano state oggetto di attenzione da parte del
padre; Kurten decise allora di trasferirsi altrove per sfuggire alla cattura,
dando appuntamento alla moglie nella Rochusplatz. La donna però venne convocata
dalla polizia e riferì terrorizzata della confessione avuta dal marito e che mai
lo avrebbe creduto capace di uccidere e poi con quella ferocia; sapeva che
correva dietro alle donne, che la ingannava e molte di esse erano venute a
lamentarsi da lei e addirittura una volta, rincasando, lo aveva trovato a letto
con un’altra, ma la situazione ora era ben diversa. Tra i singhiozzi rivelò il
luogo e l’ora dell’appuntamento con il marito e così gli agenti, seguendola,
riuscirono a catturare il criminale.

Era il 24 maggio 1930 e la
polizia tirò un grosso respiro di sollievo e con lei tutta la città di
Dusseldorf; dal canto suo, l’omicida non si era risparmiato inviando ai
commissariati lettere beffarde che circostanziavano i delitti e ne promettevano
di nuovi, anzi si era rivolto pure alla Stampa inviando messaggi che
descrivevano le sue imprese. Fece anche di peggio rivolgendosi ai familiari
delle vittime per far sapere loro come erano morti i loro congiunti. Tuttavia
dopo l’arresto di Kurten, l’opinione pubblica si divise malgrado la sua piena
confessione, dato che a qualcuno non apparve del tutto convincente. Sembrò
strano che alcune vittime rimaste in vita stentarono a riconoscerlo e
soprattutto non corrispondeva alla descrizione fornita da Gertrud Schulte, che
aveva descritto il suo assalitore come un giovanotto occhialuto sulla trentina;
Kurten non portava gli occhiali ed era senza ombra di dubbio più anziano.
Un’altra donna aggredita invece, Hubertine Meurer, lo riconobbe subito in mezzo
a un a ventina di persone, nel corso di un confronto.

Il 13 aprile 1931, a
undici mesi dalla cattura, si celebrò il processo all’uomo che affermò di essere
il mostro di Dusseldorf, anche se qualcuno si era convinto che gli omicidi non
fossero stati opera di una stessa persona. L’imputato, un uomo incolore, vestito
di blu, deluse chi immaginava di trovarsi di fronte ad una persona perversa. Dal
suo racconto ne uscì fuori una storia di miseria, di degradazione, di violenza,
con un padre alcolizzato e violento che abusò anche della sorella e di
un’adolescenza fatta di sofferenze, fame, furti e soggiorni in prigione che lo
incattivirono facendogli odiare il mondo intero.
Alla fine delle udienze, Kurten venne accusato di nove omicidi, sette tentati
omicidi, quaranta incendi dolosi, ma il suo curriculum era di certo molto più
articolato. Confessò inoltre di aver ucciso la prima volta a soli nove anni ed
era toccato a due suoi compagni che aveva fatto annegare nel Reno. Il racconto
delle sue orribili imprese andò oltre ogni immaginazione e lui stesso si definì
una bestia selvaggia assetata di sangue; non furono solo parole, perché dichiarò
di aver bevuto in più di una occasione il sangue delle sue vittime.

Peter Kurten venne
condannato a morte nove volte, tante quanti erano i delitti commessi nella
maggiore età; una sentenza scontata tanto che non ci fu neanche l’appello. Il
primo luglio 1931, Kurten fu trasferito dal carcere di Dusseldorf a quello di
Colonia, dove esisteva un cortile interno idoneo per le esecuzioni. Il
condannato chiese e ottenne il permesso di scrivere ai familiari delle vittime
per implorare il loro perdono nel momento in cui venne a conoscenza del suo
destino.
Alle 6 del mattino del 2 luglio 1931, Peter Kurten fu ghigliottinato nel cortile
del carcere di Klingelputz portando nella tomba il suo orribile segreto e cioè
che cosa lo avesse spinto a macchiarsi di tanti infami delitti; un numero
elevato di criminologi e psichiatri tentarono inutilmente di dare una risposta a
questo quesito.
L’eco di questa orribile storia portò il Cinema ad interessarsi del mostro di
Dusseldorf e a trarne alcuni film.