
TEATRO AMBRA JOVINELLI
NEL: scritto e interpretato da Alessandro Bergonzoni.
Regia di Alessandro Bergonzoni e Riccardo Rodolfi.
Scene Alessandro Bergonzoni
“D’Istruzione di massa”
All’inizio la scena è un contenitore vuoto (nonostante la pienezza dei suoi
oggetti: tavolini, sedie, telai). L’essenza intrinseca di ogni cosa è annullata
sotto metri di stoffa bianca. Entra l’attore, in bianco anche lui, anche lui
“pieno di vuoto” per “esser capace di contenere il più possibile”. Lo spazio
scenico è assenza essenziale alla narrazione, una “parte del Tutto” sta per
essere descritta (detta al pubblico, scritta con la voce dell’interprete sul
bianco della scenografia), ma non solo, l’artista con le parole riesce persino a
creare commenti pittorici. Una serie di immagini astratte, concettuali,
surreali, illustra le pagine del grande libro invisibile di Bergonzoni. Una tra
le più esilaranti è quella di un merlo, un pesce e un mandarino messi uno
sull’altro e poggiati tutti e tre sopra l’occhio di un tizio, il tizio
successivamente chiederà a un passante di controllare, se per caso, nell’altro
occhio (quello senza il trittico daliniano) non ci sia un granello di polvere.
Sdrammatizzare l’invadenza evidente di simboli freudianamente fallici, ai quali
(ahimè!) ci siamo assuefatti da tempo, per sfogare le proprie frustrazioni su
innocenti pulviscoli (sentire più la pagliuzza che la trave ficcata nel corpo),
tutto ciò rende la situazione di una comicità esplosiva. In ogni caso c’è un
terzo occhio a cui ricorrere, l’occhio mistico della conoscenza profonda.

“Conosci tre stesso”
scrive nel suo manifesto d’anime pensanti Bergonzoni. Come uno sciamano si
sperimenta insieme al pubblico per tentare di aprire la terza via. Lo strumento
è il linguaggio corrente e la sua trasformazione, ma anche la trasmigrazione di
concetti in altri concetti. Scardinando i confini rigidi dei termini, mutando i
punti di vista, inventando nuove regole didattiche, arricchendo i vocaboli di
significati originali più interessanti e positivi, ma soprattutto infilando le
parole velocemente una dietro l’altra, riesce a trasformare i suoi aforismi in
mantra illuminanti. Si entra in uno stato meditativo, il veggente-attore-autore,
desta le menti, le nuove parole associate diventano risveglianti koan zen.
Persino “Nel”, da semplice preposizione articolata, una volta decontestualizzata
nel titolo ha l’aspetto di un ideogramma sanscrito. Richiama quel Nam da Namu,
che significa fondersi, essere uniti, essere dentro. Essere “Nel” bello, “Nel”
fantastico, “Nel” la libertà, “Nel” l’amore, “Nel” la condivisione, “Nel” nuovo.
Essere “Nel” l’insolito. Bergonzoni ci esorta ad affrancare la mente dal
“solito” per aprire nuovi canali e “rendere possibile l’impossibile”. Persino
dissolvere le ferree maglie della religione, “Nessun dogma” (e qui si ispira
alla Turandot di Puccini) è l’unico dogma accettabile, ha il sapore stuzzicante
del rivoluzionario “Vietato vietare”.
Alessandro Bergonzoni è un artista geniale, le sue radici affondano nelle opere
del grande Gianni Rodari. Come lui racconta favole, ma lo fa per un pubblico
adulto, bisognoso di credere nella fantasia e di sperare che forse un giorno,
chissà, “useremo tutti il cavallo di gioia per entrare” “nel” mondo.
Non solo autore, ma anche attore straordinario Alessandro Bergonzoni ci
accompagna con la sua voce registrata fino all’uscita dal teatro, il fiume di
parole si trasforma in un tappeto volante che ci sospinge leggeri.

“Quando nelle fiabe la gente si ridesta da un sonno profondo e incantato, si
trova in questa situazione: si domanda se tutto ciò che ha veduto nei sogni
frammentati non sia alla fin fine reale, mentre il nuovo mondo, così limpido
all’apparenza, è un’illusione.”*
“per far maturare ciò che nell’infanzia fu seminato, sembra che occorra una
forma di sonno, una disattenzione ai piatti stereotipi dai quali siamo
circondati.”*
di Rossella Monaco
*da Ghosts di Kita Morio