
- Signora Efrikian, lei come
attrice ha iniziato molto giovane, cosa ci può dire dei suoi esordi?
Appena ho finito
l’accademia d’arte drammatica a Milano ho avuto una scrittura da Franco Enriquez,
era il 1959. Enriquez portava in giro, per l’Italia, lo spettacolo “La calzolaia
prodigiosa”, con una compagnia formata da Arnoldo Foà e Virna Lisi. Lo
spettacolo era di Garcia Lorca che allora andava molto di moda. Facevo una
piccola parte e non si poteva desumere qualcosa di me da quelle dieci battute
che recitavo. L’anno dopo, nel 1960, recitai in uno spettacolo al teatro Romano
di Fiesole con la regia di Beppe Melegatti. Lo spettacolo comprendeva 3 opere:
“La devozione alla Croce” di Calderon de la Barca, “I gentiluomini di Verona” di
Shakespeare, “La moschetta”di Ruzzatti. In quest’ultima rappresentazione dovevo
recitare nell’introduzione che, generalmente, faceva da un attore maschio. Io
avevo la parte di una specie di servetta sboccacciata ed ebbi un certo successo.
Il mio periodo teatrale durò fino al 62. Recitai in film stranieri, ebbi una
parte in: ”Il delitto non paga”, un film francese. Si svolgeva in quattro
episodi, io recitavo con Rosanna Schiaffino; eravamo protagoniste del primo
episodio che si svolgeva a Venezia. Il cast era formato da grandi
professionisti, Gino Cervi, Rina Morelli, Michele Morgan, persone d’incredibile
professionalità e serietà. Io mi sentivo molto imbarazzata e terrorizzata. Nel
film dovevo dire la mia battuta in francese e le parole erano: ‘je passe le
signal’, dovevo mettere una lampada in soffitta per dire all’amante di Rosanna
Schiaffino che poteva venire. “La suora giovane”, tratto dall’omonimo romanzo di
Giovanni Arpino, è stato il film che mi ha portato al Festival di Venezia, ho
viaggiato da Nuova Delhi a Mosca. Era un film alla Nouvelle Vague. Io ero appena
uscita dalla “Lacrima sul Viso”, il mio primo film, mi aveva dato modo di
conoscere un gruppo nutrito di caratteristi napoletani, Nino Taranto che
interpretava mio padre, poi c’era Bramieri e molti altri comici. Avevo tratto da
questo modesto film qualche buon insegnamento. Il film fece un’altra strada, da
quella prevista, incassò un miliardo dell’epoca e io diventai la fidanzata
ideale. Nino Taranto in quel periodo mi scrisse una lettera molto affettuosa e
carina dove mi faceva complimenti e auguri perché ero molto professionale
attenta e puntuale, questo nasce dall’educazione familiare e dall'accademia che
avevo seguito e che mi aveva dato delle regole. Non ero farfallina come
apparivo, ma piuttosto un soldatino di piombo.
- Non
ha mai recitato ruoli drammatici?
Purtroppo mi
davano dei ruoli molto simili alla mia immagine fisica, avevo 23 anni e ne
dimostravo 15. Era difficile darmi ruoli drammatici, avevo un visino grazioso
ero eterea, potevo sembrare una piccola Bardot italiana. Sarebbe potuto
succedere in teatro dove il trucco permette di mimetizzarsi, ma la macchina da
presa ti scruta fin negli angoli del viso ed è difficile anche mimetizzare in
ruoli drammatici il mio viso dolce. Il cinema mi serviva prevalentemente per
guadagnare, facevo teatro e televisione ma non mi pagavano molto.

- Può parlarci del ’68, degli
anni della contestazione, nella sua esperienza di vita?
Io nascevo a
Treviso città bianca, cattolica bacchettona e mi pare non sia granché cambiata.
Fare l’attrice era sinonimo di ‘puttana’, era qualcosa che mi si perdonava
perché mio padre era direttore d’orchestra, come si sa, la borghesia veneta è
tremenda. Questo è stato il mio primo atto di contestazione, volevo fuoriuscire
dal mondo borghese che non mi permetteva di esprimermi e non mi apparteneva.
Volevo essere utile alla gente. Il teatro nasce dall’esigenza di portare agli
altri quello che sappiamo; mi sembrava che riuscire a fare arrivare al pubblico,
Calderon de la Barca, Shakespeare, Cechov, fosse una missione, quello era per me
un atteggiamento contestario. Comunque non mi aspettavo grandi cose dal mondo in
genere, che era ristretto al mio lavoro e ad impormi, a vendermi per avere
successo, ero abbastanza ambiziosa e trovavo delle difficoltà, perché in teatro
bisogna avere una voce molto di petto, bisogna farsi sentire fino all’ultima
fila, io avevo una voce abbastanza esile. Tutte le mie forze erano nel lavoro,
non pensavo al matrimonio e ai figli, volevo una vita di lavoro e di successo.
Ancora i venti sessantottini non si sentivano nell’aria, io venivo da una buona
e colta famiglia borghese con una grande inclinazione verso la sinistra. Le idee
che avevo erano punti fermi, insegnamenti morali. Sono stata presa in
contropiede dalla vita, invece che una lunga carriera mi sono innamorata,
sposata, ho avuto una famiglia e dei figli. Il ’68 l’ho passato chiusa nella
Villa di Torlupara, allora il fenomeno del divismo non mi permetteva di uscire
da casa, vivevo come in una torre d’avorio in cui mi arrivavano le notizie. Mi
trovavo in un liquido amniotico, il mio lavoro la mia casa e la mia famiglia mi
isolavano per non essere assalita dai fan.
- I miei genitori,
paradossalmente, hanno vissuto più intensamente il ’68.
Arrivarono ospiti
nostri, da Trento, studenti della facoltà di Sociologia e da lì cominciai a
ragionare sul 68, pur cercando di capire le varie richieste, presi ampiamente le
distanze dalle azioni delle brigate rosse. Da quello che sentivo dai giovani
studenti di Trento capivo benissimo che le loro parole erano già proiettili e
che non sarebbe stato lontano l’uso delle armi
- Può parlarci della sua
esperienza cinematografica con Gianni Morandi?
Ero la partner
ideale per Morandi, eterea , bionda, graziosa. Sono rimasta un po’ incastrata in
questo ruolo. Morandi era altrettanto bravo, disinvolto, non era un attore ma se
stesso. I film che facevamo erano da cassetta, li vedeva il mondo intero, i
bambini entravano nelle sale alle tre e uscivano alle 8. Questi film erano,
anche, dei babysitter, i bambini sapevano le battute a memoria. Il mio amore per
Morandi è nato durante il film “In ginocchio da te” del 1964. E’ storia di una
coppia, storia professionale, coppia nella vita e nei film, la gente ci
mescolava, non capiva dove iniziava la realtà dove finiva la fantasia. Una
coppia ricca, bella, giovane famosa. Il 1964 è stato un anno molto intenso,
realizzai lo sceneggiato “Cittadella”, il venerdì era la serata dedicata alla
commedia tv, questo aumentava il mio successo. Il teatro mi portava via troppo
in termini di tempo e fatica e non mi permetteva lo stesso successo e gli stessi
guadagni perciò lo abbandonai per il cinema e per la tv. Nel 1965 ho fatto il
“David Copperfield”. Ho fatto altri film, con la Caselli, “Nessuno mi può
giudicare”, “Perdono” e “Rita la zanzara con la Pavone. Negli anni ‘60 ero
diventata indispensabile nei film. L’ultimo film con Morandi fu “La chimera”. In
seguito portai avanti un’altra mia esigenza, avevo maturato l’idea di avere una
famiglia e dei figli, cose che non avevo preso in considerazione ma che si sono
proposte con la forza dei sentimenti. Io faccio fatica a guardarmi indietro,
vivo senza pormi il problema di ieri, perché non vivo di nostalgie, sono
contenta di quello che ho e della mia famiglia.

- Qual
è il personaggio cinematografico al quale si è spesso ispirata e che ha sempre
apprezzato?
Audrey Hepburn,
era il mio mito, aveva tutto: bellezza, classe e bravura. Onestamente è
difficile ispirarsi ad una collega quando sei attrice, perché un’attrice ha le
sue corde. Io ero ambiziosa, sicura di me e non cercavo di imitare nessuno.
- La
nascita dei suoi figli ha significato un cambiamento nella sua esperienza
artistica?
Un figlio ti
cambia la vita, non avevo più voglia di pensare al lavoro, si presentavano molti
interrogativi, pensieri e paure, questo mi ha portato ad abbondare tutto. Avevo
un marito famoso, amicizie importanti, una casa da seguire e mi sono immersa in
questa vita di famiglia, all’epoca ero molto felice. Ero soprattutto un
personaggio tv, “Cittadella” e “David Copperfield” erano in testa alle
classifiche d’ascolto; io, però, non avevo più l’ambizione di fare l’attrice. Ci
sono tre generazioni di persone che mi conoscono tramite i film degli anni ’60
perchè Morandi è sempre sulla cresta dell’onda e i film vengono sempre rivisti.

- La
sua esperienza con Morandi ha significato anche un cambiamento del suo
atteggiamento verso il 68?
Morandi fece canzoni contro la guerra in Vietnam, “c’era un
ragazzo”, non si poteva più cantare solo la canzonetta d’amore. Poi ebbe
il suo momento di calo, iniziò un altro tipo di musica.
Interruppe la sua carriera per un
periodo e si presentò al conservatorio, cominciò ad interessarsi di musica ‘seria’,
questo ha giovato senz’altro alla sua maturità d’uomo e d’artista. Poi
ricominciò alla grande da interprete.
- Che cos’è il mondo dello
spettacolo per lei?
Io credo di essere
stata fortunata, la fortuna ha coinciso con il tipo d’educazione che avevo
avuto. Ho affrontato sempre tutto in modo serio. Ero una giovanissima e
preparata attrice, avevo acquisito le competenze, recitavo me stessa. Erano
difficili da trovare ragazze giovani e preparate a recitare come me. Io ho avuto
la fortuna di presentarmi con una preparazione in un momento in cui nascendo la
tv, c’era bisogno di bucare il video ed essere capaci di recitare, avevo tutte
le carte in regola per avere successo.
- Se non
avesse fatto l’attrice cosa avrebbe fatto?
La ballerina
classica, avevo fatto dieci anni di danza classica.
-
Quando ha ripreso la sua esperienza artistica?
Ho ripreso in tv nel 2000, la mia ultima esperienza è stata “Ricominciare”,
una specie di soap opera di cento puntate e poi piccole cose, non molto
importanti,
ma negli ultimi dieci anni mi sono dedicata
all’arredamento.
-
Cosa non accetta di questa nostra società, cosa vorrebbe cambiare?
Vorrei cambiare tutto, non mi piace il mondo nel quale
viviamo, non mi piace quello che accade in Italia, non mi piace questo governo,
continuo a rimanere una persona di sinistra, continuo a rimanere dalla parte dei
deboli. I poveri
sono sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi, per me è una cosa
intollerabile. Io sono sempre stata una persona attenta ai diritti umani e una
pacifista.
-
Poi è diventata nonna?
Sono nonna
di quattro nipoti, i figli di Marco e Marianna, la mia vita ha preso tutta
un’altra piega.
- Qual è
la sua filosofia di vita?
La mia filosofia
di vita è cerca di fare agli altri quello che vorresti fosse fatto a te.
- Quali sono le sue passioni?
Adesso sono in
pensione, coltivo il giardino, curo i nipoti, ho una piccola casa in Kenya. Ho
adottato una famiglia di 11 persone e mi occupo di loro. Il padre di questa
famiglia è al nostro servizio come ‘houseboy’, sto cercando di imporgli di non
fare altri figli, perché cresce il prezzo del riso e del mais, così non si può
far crescere una famiglia. Sono 11 persone di cui io mi devo fare carico. Sono
la mia famiglia nera.
- Se qualcuno le proponesse di
fare un film uno sceneggiato?
Purché non sia
teatro che presuppone forza fisica e memoria. Sicuramente farei ancora cinema e
televisione.
- Qual è il brano musicale a
cui si sente maggiormente legata?
Io non amo la
musica. C’è qualche canzone degli anni 60 che ascolto e alcuni brani di Vivaldi,
Beethoven e Mozart, ma il tutto si deve risolvere nel giro di un quarto d’ora.
Devo essere nata con una qualche malformazione alle orecchie.
- La
ringraziamo per la sua disponibilità, quali i suoi progetti per il futuro?
Sono una nonna,
non da Mulino Bianco, che ha molti interessi e che può raccontare le favole.