
Anche se lo scrittore più
rappresentativo del primo Novecento rimane Gabriele D’Annunzio, vero mostro
sacro della letteratura italiana, dopo di lui si susseguirono una schiera di
poeti e prosatori, impegnati nella ricerca di nuove forme espressive, libere da
ogni legame con i canoni tradizionali. Queste nuove idee trovarono una palestra
di discussioni in alcune riviste del tempo come “Mazzocco”, “Leonardo”,”Hermes”,
“La Voce”, “Lacerba”; tra i collaboratori di questi giornali emersero autori
come Giovanni Papini, Clemente Rébora, Gianni Stuparich, Giuseppe Prezzolini,
Piero Jahier e Giovanni Boine. Fu soprattutto “La Voce” ad imporsi come rivista
impegnata, occupandosi di problemi politici e sociali, filosofici e culturali di
vario genere e Prezzolini che ne era l’animatore e la mente direttiva, fu
costretto quasi a sacrificare la letteratura e la poesia, assegnandogli un ruolo
secondario per controbattere le iniziative degli altri periodici italiani. Così
alcuni scrittori si ritrovarono ad intervenire su i più disparati argomenti,
come Slataper che pubblicò lettere sulla condizione culturale triestina, Jahier
che si occupò del protestantesimo e Rébora che dal suo lavoro d’insegnante,
trasse spunti per una riflessione sulle scuole serali.
Un’altra rivista come “Lacerba” invece puntò il dito sul tema della
prostituzione, che era uno degli argomenti trasgressivi e provocatori, grazie
anche all’impegno di alcuni collaboratori come Sbarbaro e Tavolato.
La scrittura qui viene usata come una battaglia per la libertà della lingua e
dei suoi contenuti, fa proprie le difficoltà sociali del momento e ne diventa
uno strumento di persuasione. Insomma, questa cosiddetta malattia di inizio
secolo si espande in tutta Italia, nonostante la forte opposizione di Roma e
Firenze, capitali della cultura tradizionale, ma impegnate una con l’avanzata
del Fascismo, l’altra sempre più orientata verso una cultura più aperta nei
confronti dell’Europa.
Il Novecento è un secolo malato e i primi due decenni hanno visto le difficoltà
dei protagonisti costretti a portare la letteratura sulle riviste, aprendo un
dibattito e facendo del discorso letterario una polemica anche con se stessi,
tormentati da un malessere interiore a mille contraddizioni.
ANTONIO TIMONI