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Luigi Comencini nasce a Salo' l'8 Giugno del 1916 e lascia al cinema italiano
un'impronta indelebile, fatta di quella melodia che solo un grande maestro può
comporre, regalando a chi ancora crede nel cinema italiano un segno profondo di
umiltà e forza e che lascia nel tempo e nello spazio grande capolavori.
Nel cinema di Luigi Comencini ci sono sempre molti "bravi italiani", accomunati
dal temperamento orgoglioso e dal linguaggio disinvolto.
Armonioso lo stile, che gli ha permesso di distaccarsi dall'amarezza
e dall'asprezza del neorealismo, per avvicinarsi alla commedia
all'italiana, e firma con Suso Cecchi D'amico, Age & Scarpelli delle
sceneggiature perfette, dove i personaggi rimangono comunque autentici e
sfaccettati, ma tornano a sorridere, anche dopo la guerra e la ricostruzione
delle proprie esistenze, un mondo che, in fin dei conti, non cambia mai.

Comencini ci rende vicini alle sue storie, anche perché basate tutte su
struttura familiare,molto simile al nostro quotidiano (o a quello di un tempo
almeno). Per questo i protagonisti dei suoi film "nascono da soli",
rendendoci fieri, man mano che la pellicola procede, di essere italiani come
loro.
Lombardo, padre delle sorelle Comencini (Paola, Cristina e Francesca, avute
dalla felice unione con la figlia della principessa Grifeo di Partanna, Giulia)
e archiviata la laurea in architettura presso il Politecnico di Milano, dopo
aver svolto l'attività di critico e giornalista, fonda con Alberto Lattuada e
Mario Ferreri la Cineteca Italiana. Poi decide di dedicarsi alla regia, inizia
con alcuni cortometraggi in 16 mm per il Cine-guf del capoluogo lombardo e con i
documentari
La
Novelletta
(1937),
Bambini in città
(1946) e
L'ospedale del delitto
(1950).
Nel 1943, si affinerà anche come sceneggiatore (oltre che come aiuto regista)
per Ivo Perilli ne
La
Primadonna,
ma il suo primo film a soggetto troverà la luce solo nel 1948, si tratta di
Proibito rubare
con
Tina Pica
e
Adolfo Celi.
Pellicola che lo mise subito in vista da critica e pubblico per il suo talento.
Dopo aver diretto
Totò
in una delle sue avventure (L'imperatore
di Capri),
troverà un enorme successo con la pellicola
Pane, amore e fantasia
(1953), storia d'amore tra un maresciallo e un'ostetrica di paese,
incrociata a quella di una fanciulla poverissima, soprannominata "la
Bersagliera" (interpretata da una memorabile
Gina Lollobrigida
che da quel momento in poi farà suo quel soprannome) e un carabiniere
impacciato. Il film vince l'Orso d'Argento al Festival di Berlino e lancerà
ufficialmente la nascita di un nuovo genere cinematografico tutto di casa
nostra: la commedia all'italiana, che prosegue con
Pane, amore e gelosia,
La
bella di Roma
e
Mariti in città.
Nel
decennio successivo, continua a dare prove della sua bravura anche come regista
drammatico in
Tutti a casa
(1960),
La
ragazza di Bube
(1963) e
Incompreso
(1966). Temi ancora sentiti sulla pelle degli italiani.
Una su tutte: la povertà del dopoguerra. Mentre negli anni della liberazione
sessuale e della contestazione, si specializza nella pungente commedia satirica
ridendo e facendo ridere gli italiani dei loro stessi vizi. I piaceri del sesso,
della ricchezza e del gioco sono rappresentati perfettamente in
Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova, veneziano
(1970),
Il
gatto
(1977, in cui è anche attore) e
Lo
scopone scientifico
(1972), film con i quali conquista anche la televisione. Sarà infatti consacrato
a padre del cinema italiano del Novecento, firmando il telefilm che, più di ogni
altro nella storia della televisione, ha riscosso unanime i plausi di critica e
pubblico: "Le avventure di Pinocchio".
La
sua firma dietro la macchina da presa, lascia una traccia fortissima e vitale
nell'immaginario e nello sviluppo dell'Italia post Sessantotto, stimolandola con
il suo occhio pungente e sagace, a guardare al di là delle apparenze e delle
facili bugie.
Membro della giuria del Festival di Venezia, nonché Leone d'Oro alla carriera
nel 1987, negli anni Ottanta firma i suoi ultimi lungometraggi:
Cercasi Gesù
(1982),
Un
ragazzo di Calabria
(1987) e
Buon Natale… Buon Anno
(1989). Poi è ancora televisione con
Cuore
e
La
Storia,
mentre la sua ultima regia è tutta per il remake di
Marcellino pane e vino
(1955), intitolata semplicemente
Marcellino
(1991).
Luigi Comencini ha diretto tra i più grandi attori italiani:
Giulietta Masina,
Gassman-Tognazzi-Mastroianni,
Alberto Sordi,
franco e ciccio ,
Gino Cervi,
Stefania Sandrelli
e
Silvana Mangano.
Ma
non si fece mancare star straniere come
Fernandel,
Gérard Depardieu
e Bette
Davis.
Direzione fatta
con maestria e con quella
una vocazione unica al cinema che tangibile e totale in tutte quelle
storie che sono accomunate dalla stessa matrice tipicamente italiana. Trame e
scene intense che avvolgono lo spettatore rendendo plausibili sentimenti ed
emozioni.
Inventivo, coraggioso, disposto a rischiare e a provare diverse situazioni,
anche quando potrebbe rendere i suoi personaggi dei comuni stereotipi di casa
nostra, Comencini è, oltre che un mentore, un conoscitore del valore delle
parole. Soprattutto di una: italiani.
Come
scegliere dunque di parlare di uno solo dei suoi film?
seguendo
il suo esempio; scegliendo ogni cosa con il cuore, con la verità di un
sentimento unico e che si discioglie dinanzi alla grandezza di tale Maestro,
ritrovando nella conclusione dei suoi lavori un film tenero e forte, che oggi mi
ricorda un lieto fine seppure nella sua amarezza, e che scelgo per la stessa
malinconia del suo protagonista. Lo scelgo per dedicarlo oggi a mia madre,
sentendo forte la fede e la profondità di questo amore.
Marcellino(1992)

Luigi
Comencini e lo sceneggiatore E. De Concini l'hanno strutturato il film come una
favola ,con frati buoni e un conte cattivo e con un finale che dà nel magico
invece che nel miracoloso, mettendo in immagini con sobrietà e concisa eleganza
figurativa la sottile differenza tra realtà e miracolo con forti effetti
emozionali senza però il minimo artificio.
Per questo remake
si rifà alla filosofia originaria del film, ma con uno slancio nuovo, ironico
che si propone in un contesto verosimiliare ma che non disturba i miracoli, ma
sorride al fantastico.
Tratta da un'antica leggenda popolare la storia racconta di un bambino che i
frati raccolgono in fasce e allevano con tanta cura e amore. Fattosi più grande,
Marcellino sente moltissimo la mancanza della mamma, che nelle sue fantasie ha i
connotati della Madonna. Un nobile del luogo, credendolo un suo figlio naturale,
decide di adottarlo. Ma la vita del castello non è fatta per Marcellino, che
fugge e torna al convento e ai suoi adorati frati. Un giorno egli trova un
crocefisso abbandonato in una soffitta.
Tra il bimbo e l'effige di Cristo si stabilisce una tenera amicizia: ogni giorno
Marcellino porta al suo "amico" del pane e del vino sottratti alla dispensa dei
frati. Gesù ascolta le pene e i desideri del bambino e quando questi gli
chiederà di vedere la sua mamma, Cristo lo accoglierà nelle sue braccia e gli
chiuderà gli occhi nel sonno eterno...
Commuovente e
ingenuo racconta la capacità del regista di entrare nel mondo fanciullesco e
interpretare l'emozione rara e pura di un bambino senza essere mai banale, ne
impropriamente sdolcinato. Straordinario il piccolo protagonista Nicolò Paolucci.
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A cura di INFINITO