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Viaggiare non è solo
scoprire posti nuovi, rilassarsi in perduti paradisi tropicali o svolgere
attività ricreative di gruppo modello Club Méditérranée, ma anche
ritrovare un amico lontano, ammalarsi, giungere in un luogo distante da tutto:
Aklakou, villaggio togolese a 60 km dalla capitale Lomé, dove Marilena si è
recata per partecipare ad un campo di lavoro internazionale che consisteva nel
sostegno scolastico ai ragazzi del villaggio (10.000 ab.ca., né corrente
elettrica né acqua):
si dice che per un
occidentale recarsi nel “continente nero” significa sia atterrare su un altro
mondo sia fare un viaggio nel passato. Quel che è certo è che l’Africa è il
continente più vasto al mondo, un cosmo ricchissimo e complesso che solo per
nostra comodità chiamiamo Africa. Ad esempio il viaggio da me fatto in Burkina
Faso e Togo (fra i paesi più piccoli della parte sub-sahariana) è molto diverso
dai due precedenti in Senegal, forse la meta francofona più turistica per noi
occidentali.
Sono arrivata a
Ouagadougou (capitale burkinabé) i primi d’agosto. Ad attendermi il mio amico
Moukaila, aspirante regista conosciuto a Roma e vittima del business
dell’immigrazione e di leggi europee sempre più rigide in materia. Con lui la
famiglia al completo ben contenta di accogliere un’eventuale moglie bianca e, ai
loro occhi, senz’altro ricca. L’amicizia con Moukaila ha comunque retto alle
pressioni sociali ed anzi è stata di grande aiuto nel superare gli inevitabili
choc che colpiscono noi occidentali di fronte ad un mondo così diverso: essendo
la stagione delle piogge (ma piove sempre meno, purtroppo) il caldo non era così
feroce come in maggio (in media 45°!!!) ma le zanzare, piccole e agguerrite, sì
(indispensabile una zanzariera). Inoltre la sporcizia, la mancanza di acqua
corrente, gli usi e costumi tradizionali musulmani, l’attenzione continua al
cibo (ad es. va mangiato solo quello che è cotto al fine di evitare noiose
infezioni). Cautele indispensabili per chi come me ha scelto di non fare solo la
turista in alberghi a quattro stelle con piscina, ecc., scelta che sicuramente
diminuisce il pericolo di malattie, ma che come in ogni paese in via di
sviluppo rischia di creare muri invalicabili fra le persone e riproporre modelli
coloniali poco simpatici e neanche troppo lontani nel tempo.

Ouaga durante la stagione
delle piogge è molto verde (due idee di passeggiata relax vi porteranno verso la
zona del Barrage, la diga a nord della città e verso il bel parco pubblico). La
sua architettura contemporanea e la concezione topografica secondo un metodo
didattico e funzionale (in centro ad es. tutti i ministeri sono allineati
regolarmente attorno al palazzo presidenziale) fanno di Ougadougou una capitale
africana “utopica” dove le vie principali sono dedicate non ai soliti capi di
stato francesi ma a rivoluzionari africani e non solo (il ghaneano Kwame
N’Krumah, il mozambicano Agostino Neto, il congolese Patrice Lumumba, senza
dimenticare Che Guevara e Nelson Mandela). Due parole vanno spese sul molto
rimpianto capitano ed ex presidente Thomas Sankara, assassinato nel 1987 a soli
47 anni, con la probabile connivenza dell’attuale presidente Blaise Compaoré,
suo migliore amico ed ex compagno di rivoluzione (modello già sperimentato in
Congo con la triste vicenda Lumumba-Mobutu). È stato Sankara, nel 1984, a
cambiare il nome dal coloniale Alto Volta all’attuale Burkina Faso che in lingua
mooré (quella dell’etnia maggioritaria, i Mossi) significa “Il paese degli
uomini integri e degni di rispetto”; in pochi anni di governo Sankara ha
rilanciato l’ideale panafricano degli anni ’60 e ha portato alla ribalta uno dei
paesi più poveri al mondo, dando priorità assoluta alla partecipazione
democratica, alla cultura e al cinema come strumenti essenziali per svincolarsi
dal giogo neocoloniale. Ouagadougou è infatti nota come la “hollywood d’Africa”
e qui, ogni anno disparo, si tiene il Fespaco (Festival Panafricano di Cinema di
Ouagadougou), dal 1969 il principale festival di cinema black e della diaspora
in Africa (la prossima edizione comincia il 22 febbraio e può essere senz’altro
un buon momento per visitare questo bellissimo paese). Il cineasta africano
forse più famoso al mondo è proprio il burkinabé Idrissa Ouedraogo che in un suo
divertente corto degli esordi, Ouaga, deux roues, ci informa di un’altra
caratteristica della rurale e ancora un po’ provinciale Ouaga. Essendo il
Burkina totalmente pianeggiante il mezzo di locomozione più diffuso è la
bicicletta (e per chi può permetterselo, il motorino). Mancano totalmente i
mezzi pubblici, i taxi sono cari e le due ruote diventano il mezzo di
locomozione preferito per le persone che vi trasportano di tutto (animali,
mobili e quant’altro) facendo di Ouaga la seconda città al mondo dopo Pechino
per uso di due ruote. Encomiabile l’abilità degli ouagalesi alla guida: guidare
sulle strade rosse di fango (solo le principali arterie sono asfaltate) non è
affatto semplice, vi assicuro!

Il Grand Marché è
un’altra esperienza mistica: una sarabanda di persone affaccendate, di tessuti
dai mille colori e di odori sconosciuti vi condurrà attraverso questa città
nella città dove potrete apprezzare lo splendido artigianato burkinabé (legno,
cuoio, tessuti lavorati a mano dalle donne secondo un’idea di recupero della
tradizione “al positivo” voluto da Sankara per l’emancipazione femminile). Quasi
ogni commerciante e sicuramente tutti i bambini cercheranno di attirare la
vostra attenzione chiamandovi “nassara” che in mooré significa “bianco”. La sera
ci si ritrova nei vari locali a ballare o a mangiare l’eccezionale pollo
ruspante (alla griglia, allo spiedo, arrosto) che si serve un po’ ovunque in
città. Il venerdì mattina all’alba turisti e burkinabé si ritrovano al palazzo
del Moro-Naba (antico capo dei Mossi, ha ormai solo un potere spirituale) per la
cerimonia della “falsa partenza dell’imperatore per la guerra” rituale sempre
più imbalsamato ma che nel passato ha interessato antropologi ed etnologi di
tutto il mondo in seguito agli straordinari filmati del cineasta francese Jean
Rouch. Imperdibile una visita al parco di Laongo, a 30 km ca. dalla città: in
aperta campagna e dal 1987 artisti di tutto il mondo si riuniscono qui per
scolpire i massi granitici che affiorano spontaneamente. Forme, dimensioni e
stili si mixano in un risultato eccezionale in cui l’arte gioca a nascondino con
la natura lussureggiante. Uscire da una qualsiasi capitale africana significa
penetrare in un altro universo, di pace e silenzio, dove la miseria è
sicuramente meno feroce che nelle puzzolenti giungle d’asfalto metropolitane.
Andare al nord verso il
Mali o il Niger vuol dire scoprire un Burkina più vicino al deserto dove la
fiera cultura Tuareg e la pastorizia Peul predominano. Io mi sono rivolta a sud,
verso l’immensa massa d’acqua dell’oceano Atlantico (il Burkina non ha sbocco
sul mare), verso il Togo, dov’ero attesa in uno sperduto villaggio contadino. Il
viaggio in un confortevole bus (1000 km di strada approssimativa in ca. 22 ore)
è stato molto divertente e i diversi paesaggi attraversati mi hanno tolto il
fiato.
Lomé è nota per essere
stata la capitale più piacevole dell’Africa occidentale, ormai, come tutto il
paese, sempre più sclerotizzata da 35 anni di dittatura da parte dell’anziano
generale Eyademà.
L’immenso mercato, famoso
in tutta l’Africa occidentale, il porto dove (entrata a pagamento) si può
acquistare tutto quello che arriva dal ricco occidente tecnologico (macchine,
tv, hi-fi, videoregistratori) e il fatto che la frontiera col Ghana segni la
fine della città, fanno di Lomé una capitale unica al mondo: una città di
frontiera e di commercio dove fiorenti “business” (ma attenzione alle truffe!)
richiamano gli africani dei più poveri stati vicini creando un mix davvero
interessante. Un’incursione nel Ghana anglofono è senz’altro un piacevole détour
ma attenzione al visto: va fatto in amabasciata altrimenti per i “ricchi” yovò
(“bianchi” in éwé, la principale lingua locale) varcare la frontiera costa ben
100$.
L’oceano è pericolosissimo
ed il bagno è consentito solo in alcune spiagge attrezzate e molto belle poco
fuori la capitale: ne vale sicuramente la pena visto che giocare con le potenti
onde è davvero divertente. Per chi preferisse il totale relax la piscina
dell’Hotel Sarakawa offre il gran lusso ad un prezzo (per noi) modico: pare sia
la più bella dell’Africa occidentale! Approfittate anche della fantastica
frutta: per 300 vecchie lire è possibile mangiarsi una noce di cocco fresca e
bere il nutriente latte, una cosa davvero deliziosa. Per non parlare di ananas,
manghi, frutti della passione… Ottimi anche i fan-milk, gelati semi industriali
che ragazzi in bicicletta vendono un po’ dappertutto. Per spostarsi a Lomé il
mezzo più economico e divertente sono i taxi-mobilette: per una modica somma
ragazzi in motorino vi porteranno da un capo all’altro della città e il vento
dell’Atlantico vi farà sentire meno caldo.

Io ho proseguito verso il
villaggio di Aklakou che per non aver votato a favore di Eyademà alle ultime
elezioni è rimasto senza luce e quindi senz’acqua. I maestri, molto mal pagati
come tutti i funzionari pubblici, rifiutano di andare ad insegnare in “brousse”
(campagna) ed è per questo motivo che gli abitanti di Aklakou hanno chiesto per
il secondo anno l’aiuto dell’associazione che in Togo organizza campi di lavoro
per volontari di tutto il mondo: i ragazzi del villaggio sono molto indietro ma
hanno ben chiaro che l’istruzione può essere l’unica chance per migliorare la
loro condizione e l’interazione fra loro e noi trenta volontari è stata molto
interessante. Più difficile per noi quindici volontari occidentali adattarci a
condizioni così poco confortevoli e che ci riportano indietro nel tempo di
almeno un secolo: lavarsi significa prendere l’acqua dal pozzo e trasportarla,
cucinare vuol dire fare il fuoco ed ogni cosa, anche la più semplice, richiede
pazienza, attenzione, abilità. I quindici volontari togolesi sono stati molto
gentili ed hanno cercato di metterci a nostro agio il più possibile: inutile
dire che, ciò nonostante, il rubinetto e il wc hanno cominciato a invadere i
nostri sogni! Inoltre una specie di sano ritorno alla vita contadina: alle sei
del pomeriggio ad Aklakou il sole cala improvvisamente e la strada principale
del villaggio si illumina di suggestive lampade ad olio, soprattutto il giovedì,
giorno di gran mercato. L’organismo si abitua ai nuovi ritmi e svegliarsi
all’alba diventa normale dopo qualche giorno, i racconti della gente (siamo in
una regione fortemente animista col conseguente culto dei feticci e si sta
preparando una grande festa woo doo) ci aprono ad un altro mondo spirituale, il
più vicino telefono, ospedale, ristorante ecc. è a 20 km, nella bella Aného,
antica capitale togolese…. ma per noi, che dopo 3 settimane torniamo nelle
nostre confortevoli case, il cielo pieno di stelle non è mai sembrato così
bello! E sentiamo che il mal d’Africa, questa strana nostalgia, è già lì. Fino
al prossimo viaggio.
Marilena Castiglione
a cura di Daniele Dattilo