Scrittore, massimo esponente del decadentismo italiano, nacque a Pescara
il 12 marzo 1863 e morì, per una emorragia cerebrale, a Gardone Riviera
il 1 marzo 1938. Compiuti gli studi classici nel collegio “Cicognini” di
Prato, s’iscrisse alla facoltà di Lettere dell’Università di Roma, senza
mai però conseguire la laurea. Dal ’81 al ’91 visse a Roma, frequentando
il bel mondo dei salotti e collaborando attivamente al “Capitan
Fracassa”, al “Fanfulla della Domenica”, alla “Cronaca Bizantina” e al
quotidiano radicale “La Tribuna”; si trasferì successivamente a Napoli,
dove collaborò al “Mattino” fondato da Edoardo Scarfoglio e Matilde
Serao. Nel 1893, dopo la morte del padre, si ritirò nella solitudine di
Francavilla a Mare, per poi stabilirsi nel ’98 a Settignano, presso
Firenze, nella Villa della Capponcina insieme alla Duse, dove rimase per
più di dieci anni. Fu questo il periodo in cui D’Annunzio condusse una
vita moralmente corrotta, con lusso sontuoso e grande raffinatezza, fino
a quando nell’aprile del 1910, finita anche la relazione con la Duse, fu
costretto dai creditori ad emigrare in Francia, dove il
mondo
letterario (Proust, Joyce) lo accolse con grande simpatia e dove visse
altre storie d’amore. Tornato in patria nella primavera del 1915, fu
promotore dell’intervento italiano nella prima guerra mondiale
(1914-18), alla quale partecipò volontario compiendo gesta eroiche, come
la famosa “beffa di Bùccari” e il volo su Vienna. Nel 1919 preparò e
diresse la marcia su Fiume, allo scopo di riunire quella città
all’Italia, mentre nel 1921, si ritirò a Gardone, sul lago di Garda,
nella villa da lui denominata “Il Vittoriale degli Italiani”, dove
raccolse, accanto alle memorie d’arte, le sempre vive memorie di guerra.
Gabriele
D’Annunzio fu romanziere, giornalista, poeta e drammaturgo fra i più
grandi dell’età moderna e dominò, per almeno un trentennio, il gusto e
il costume letterario italiano. Della sua vasta produzione segnalerò le
opere più significative, a partire dai romanzi “il Piacere”(1889),
“Giovanni Episcopo”(1891) e “L’Innocente”(1892), influenzati dal
decadentismo; dalla stessa vena nacque, in poesia, “Il Poema
paradisiaco”(1893) che anticipò in modo notevole, temi che verranno
trattati dalla poesia crepuscolare. Nel periodo immediatamente
successivo, D’Annunzio mostrò di voler colmare un vuoto morale, di cui
egli stesso avvertiva il rischio, ispirandosi al “superuomo” di
Nietzsche e compose i romanzi “Il trionfo della morte”(1894), “Le
vergini delle rocce”(1895) e “Il Fuoco”(1898) e i drammi “La città
morta”(1899) e “La
Gioconda”(1899),
scritti durante la relazione con la più grande attrice del tempo
Eleonora Duse. Del suo soggiorno a Settignano, troviamo alcuni
capolavori come i primi tre libri (Maria, Elettra, Alcione) delle “Laudi
del cielo, del mare, della terra e degli eroi” (pubblicate nel 1903); le
tragedie “La figlia di Iorio”(1904) e “La fiaccola sotto il
moggio”(1905), “La nave”(1908), “Fedra”(1909) e il romanzo “Forse che
si, forse che no”(1910).
Stabilitosi in Francia scrisse, peraltro in un prezioso
francese, il dramma “Le martyre de Saint Sébastien”(1911), musicato da
C. Debussy e il quarto libro delle “Laudi” (Merope, 1912).
Ritiratosi poi nel Vittoriale a Gardone, compose le sue ultime opere tra
cui “Il venturiero senza ventura (1924) e “Le Faville del maglio
(1924-28).
Gabriele
D’Annunzio, dai suoi contemporanei imitato ed acclamato, più tardi
tacciato di essere retorico, fu certamente scrittore di particolare
sensibilità e al di là delle polemiche che spesso si accendono intorno
al suo nome, non c’è oggi persona che non gli riconosca di aver avuto un
ruolo d’avanguardia. Più che di vera e propria partecipazione al
Decadentismo, di lui si può parlare come di un intellettuale decadente,
nello splendore di un linguaggio che esprime per suggestione più che per
comunicazione. Fece suo anche il busto dello stravagante, dell’orrido e
del perverso come i più grandi artisti decadenti francesi e come Byron,
volle fare della sua stessa vita un’opera d’arte e visse una vita più
simile ad un poema che alla realtà.
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