Italo
Svevo pseudonimo di Ettore Schmitz (Trieste 1861 – Motta di Livenza
1928), non fu un letterato di professione, ma, pur esercitando varie
attività di ordine pratico, nutrì un amore profondo e tenace per
l’arte narrativa. La sorte di questo scrittore fu davvero singolare,
tanto che nel 1892 pubblicò il suo primo romanzo “Una vita”, che fu
ignorato dalla critica e dalla gente; nel 1898 pubblicò il suo
secondo romanzo “Senilità”, che passò anch’esso ugualmente
inosservato.

I
protagonisti dei due romanzi erano due inetti che tuttavia non
sapevano rendersi conto della loro pochezza e preferivano vivere
nell’illusione e nel sogno, piuttosto che nella realtà fino a quando
l’inevitabile impatto con la realtà stessa, fu per loro
traumatizzante. Certo anche Svevo polemizzava nei confronti dei
pregiudizi della società, ma questa polemica non era il desiderio di
fuga dalla realtà, ma aggressione della società seppur mai frontale,
ma attraverso l’arma sottile dell’ironia. E’ fuori discussione che
l’opera di Svevo era nuova e rompeva con la tradizione classica,
purtroppo questi insuccessi, lo portarono con molta amarezza, ad
abbandonare le lettere per dedicarsi alla ditta di famiglia; questo
silenzio
durò vent’anni, ma nel frattempo la sua visione si andò allargando,
fino a maturare il sentimento della vita intesa
come malattia. Quando però nel 1923, apparve il suo terzo romanzo
“La Coscienza di Zeno”, anch’esso all’inizio
accolto dal consueto silenzio, lo scrittore questa volta reagì con
veemenza, tanto da rivolgersi a Joyce, scrittore irlandese
conosciuto proprio a Trieste, che mandò il suo romanzo ai maggiori
critici, tanto che in Francia ebbe un successo trionfale.
Affermatosi in seguito anche in Italia, dove fu pubblicato
“L’omaggio a Svevo” sulla rivista “L’Esame” a mano di Eugenio
Montale, Svevo divenne ben presto famoso e molti illustri critici
stranieri scoprirono così in lui un precursore dei romanzieri
psicanalitici, tipo Proust e lo additarono come l’iniziatore del
romanzo moderno.
Esplose allora “il caso Svevo”, negletto per un quarantennio,
improvvisamente fu proclamato il padre della letteratura moderna e
maestro del nostro secolo. In effetti Svevo si pose sul solco di
Proust, Mann e dello stesso Joyce, intendendo la letteratura come
letteratura di memoria, monologo interiore e scavo psicologico sulla
lezione di Freud; egli rifiuta inoltre la mitizzazione del super
uomo dannunziano di cui invece preferisce, come già detto,
analizzare il tormento spirituale e l’intima desolazione. Nel 1927
quindi fu pubblicata la novella “Vino generoso” e nel 1928 la
raccolta di racconti ”Una burla riuscita”, ma purtroppo nello stesso
anno Svevo morì tragicamente per un incidente automobilistico, non
tralasciando il fatto che anche la morte della sorella Amalia, a
cui era molto legato, gli avevano provocato già un crollo della sua
esistenza, relegandolo in una terribile angoscia e una triste
solitudine.

Vissuto sempre nell’ambiente letterario triestino, fu più attratto
dalle culture slave e germaniche che non da quella italiana, rimasta
ai margini dei suoi interessi.
Una
raccolta di novelle, dal titolo “Corto viaggio sentimentale”, fu
pubblicata nel 1949 dopo la sua morte, così come “Saggi e pagine
sparse” nel 1954 e le “Commedie” nel 1960.
A cura di:
Antonio Timoni
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